giovedì 31 dicembre 2009

Ultimo giorno dell'anno

Un anno davvero speciale...



martedì 29 dicembre 2009

Avere pazienza

“In occasione di un pranzo di gala il cardinale tedesco Michael von Faulhaber (1869-1952) venne a trovarsi accanto al celebre Albert Einstein (1879-1955). A un certo punto, durante la conversazione, lo scienziato si rivolse all’uomo di Chiesa: «Cosa direbbe, eminenza, se noi matematici con un procedimento inconfutabile dimostrassimo che Dio non esiste?». Il cardinale: «Con pazienza aspetterei il momento in cui scoprirete il vostro errore».
Tutti noi siamo costretti ad aspettare con pazienza. Non solo davanti a qualche sportello, ma anche e soprattutto nella vita. Aspettiamo l’autobus o il treno, il postino o il medico; aspettiamo che ci servano al ristorante, che arrivi la pioggia o il sole, una buona notizia, una telefonata, una parola di conforto. Soprattutto, restiamo in attesa della felicità.
Chi non sa aspettare rischia di fallire uno scopo, va incontro a inutili difficoltà, si lascia sfuggire più di una buona occasione, deve chiedere cento volte scusa per certe azioni affrettate e sconsiderate [...].
Davvero, tutti dobbiamo vivere di pazienza! Pazientare, saper attendere è un inconfondibile segno di maturità. La persona paziente esprime serena padronanza di sé. Sa che ad ogni inizio le cose non rivelano ancora tutte le loro future possibilità di sviluppo, e tanto meno il risultato finale. Per questo non cede facilmente allo sconforto, a dispetto di tutte le incertezze e difficoltà che la vita può presentare. Avanza passo dopo passo, sfrutta ogni residua possibilità, si nutre di moderato ottimismo...
[...]
La pazienza è un’arte, una virtù da apprendere e praticare.”

(Reinhard Abeln)

lunedì 28 dicembre 2009

Un bambino che è Dio...



“Il Natale di Gesù è soffuso di ammirevole semplicità: il Signore viene senza risonanza, sconosciuto a tutti. Qui in terra, soltanto Maria e Giuseppe partecipano a questa avventura divina. Poi i pastori, ai quali gli angeli recano l’annunzio. E, più tardi, quei saggi dell’Oriente. E’ così che ha compimento l’evento trascendente che unisce il cielo alla terra, Dio all’uomo.
E’ mai possibile tanta insensibilità di cuore al punto di abituarsi a queste scene? Dio viene nell’umiltà perché ci sia possibile avvicinarlo, perché ci sia possibile corrispondere al suo amore con il nostro amore, perché la nostra libertà si arrenda non più soltanto alla manifestazione della sua potenza, ma anche allo splendore della sua umiltà.
Ineffabile grandezza di un bambino che è Dio! Suo Padre è il Dio che ha fatto i cieli e la terra, eppure Egli è lì, in una mangiatoia, quia non erat eis locus in diversorio, perché non c’era altro posto sulla terra per il Signore di tutto il creato.”
(Josemaría Escrivá, E’ Gesù che passa)

venerdì 25 dicembre 2009

S.Natale

«“Do you know who you hold, Mary? You secure the Author of grace. He who is ageless is now moments old. He who is limitless is now suckling your milk. He who strides upon the stars, now has legs too weak to walk; the hands which held the oceans are now an infant’s fist. To Him who has never asked a question, you will teach the name of the wind. The Source of language will learn words from you. He who has never stumbled, you will carry. He who has never hungered, you will feed. The King of creation is in your arms.”»

(Max Lucado, An Angel’s story – The first Christmas from Heaven’s view)

Un Dio così grande da farsi così piccolo...

giovedì 24 dicembre 2009

Holy night



“Il cielo non appartiene alla geografia dello spazio, ma alla geografia del cuore. E il cuore di Dio, nella Notte santa, si è chinato giù fin nella stalla: l'umiltà di Dio è il cielo. E se andiamo incontro a questa umiltà, allora tocchiamo il cielo. Allora diventa nuova anche la terra. Con l'umiltà dei pastori mettiamoci in cammino, in questa Notte santa, verso il Bimbo nella stalla! Tocchiamo l'umiltà di Dio, il cuore di Dio! Allora la sua gioia toccherà noi e renderà più luminoso il mondo.”

(Benedetto XVI, Omelia nella Notte di Natale 2006)

BUON NATALE!!

martedì 22 dicembre 2009

Come in una fiaba

Nevica ininterrottamente da quasi 20 ore.
La città è un incanto!
Ieri due passi nella e sotto la neve con #6...



















lunedì 21 dicembre 2009

Quasi Natale...

“Caro Gesù ti scrivo / per chi non ti scrive mai, / per chi ha il cuore sordo / bruciato dalla vanità. / Per chi ti tradisce / con quei sogni che non portano a niente / per chi non capisce / questa gioia di sentirti sempre / amico e vicino.

Caro Gesù ti scrivo / per chi una casa non ce l'ha / per chi ha lasciato l'Africa lontana / e cerca un po' di solidarietà / per chi non sa riempire questa vita / con l'amore o i fiori del perdono, / per chi crede che sia finita, / per chi ha paura del mondo che c'è / e più non crede nell'uomo.

Gesù, ti prego, ancora! Vieni
a illuminare i nostri cuori soli,
a dare un senso a questi giorni duri,
a camminare insieme a noi.
Vieni
a colorare il cielo di ogni giorno,
a fare il vento più felice intorno,
ad aiutare chi non ce la fa.

Caro Gesù ti scrivo / perchè non ne posso più / di quelli che sanno tutto / e in questo tutto non ci sei Tu. / Perchè voglio che ci sia più amore / per quei fratelli che non hanno niente / e che la pace, come il grano al sole, / cresca e poi diventi pane d'oro / di tutta la gente.

Gesù ti prego ancora! Vieni
a illuminare i nostri cuori soli,
a dare un senso ai giorni vuoti e amari,
a camminare insieme a noi.
Vieni
a colorare il cielo di ogni giorno
a fare il vento più felice intorno
ad aiutare chi non ce la fa.
Signore vieni!”

(Caro Gesù ti scrivo, 40° Zecchino d’Oro)

domenica 20 dicembre 2009

Le due sinfonie



“E «appena gli Angeli si furono allontanati per tornare al cielo» (Lc 2,15), ne restò uno in terra con una missione speciale: quella di favorire il sonno del Bambino. Perché non si creda che il piccolo neonato fosse diverso dagli altri. La prima notte, poi...
La prima notte, dopo aver permesso a Maria e Giuseppe di addormentarsi, il piccolo Gesù si mise a frignare. Come dicono gli antichi cantari, «Maria lo cullò, Giuseppe gli parlò», e Lui si addormentò; ma, come gli antichi cantari non dicono, quasi subito si ridestò e riprese a piangere.
A questo punto l’Angelo entrò in azione: da un magico turibolo che si era portato appresso cavò una nube di suoni approntata da tempo con speciale cura. Era o non era il soprintendente generale dei cori angelici (Troni, Dominazioni e Potestà)? In quella piccola nube aveva distillato la quintessenza dei suoni soprannaturali, a noi ignoti ma - per quei pochi santi che hanno avuto il privilegio di udirli - di una bellezza ed armonia indicibili; ad essi aveva poi unito, con sapiente dosaggio, le misteriose melodie e i contrappunti delle sfere celesti in una serie di accordi soffici e solenni che, per non far torto a nessuno, aveva colto da tutte le galassie e tutti gli spazi siderali.
Fu quindi assai stupito quando il Bimbo, dolcemente avvolto da quel magico involucro, continuò a gnaulare come se nulla fosse.
L’Angelo aveva preparato un’arma di riserva, ma non pensava di doverla utilizzare: un’altra nube, molto più eterea, formata da altissimi pensieri, cognizioni eccelse, concetti trascendenti, un tipo di musica, insomma, a noi del tutto sconosciuta e che per la verità neppure lui conosceva troppo bene dato che, essendo un Angelo cantore, non era del tutto esperto in mistica metafisica. Ma nemmeno quest’onda divina ebbe un qualche effetto.
L’Angelo, a questo punto, ebbe il dubbio che qualcuno - forse il Demonio - avesse scambiato il Bimbo nella mangiatoia e che invece del Figlio di Dio vi giacesse un qualunque figlio d’uomo.
Ma ebbe a ricredersi quando, dal soffitto della grotta, cadde una goccia. Non per terra, ma in una scodella di rame che si trovava là per caso. «Dong!» fece la goccia, e il Bimbo tacque. Poi uno spiffero di vento iniziò a sufolare fra le assi sconnesse della porta e, benché all’Angelo quel suono paresse banale, al Bimbo piacque perché agitò le manine in segno di gioia. Allora la natura della notte, che aveva assistito allibita alle performances dell’Angelo, alimentò i mille suoni che ne abitano il silenzio: il fruscio delle foglie di un gelso, un lontanissimo gracidare di rane, i veloci mordenti di alcuni grilli, il basso continuo di un gufo immalinconito, il respiro di Maria e i sospiri di Giuseppe.
Il Bimbo taceva estasiato. Quelle onde sonore, che all’Angelo parevano così povere, lo facevano scendere nella vertigine di un sonno profondo e pacificato. Con le manine strette, gustò per un attimo ancora quei frammenti di silenzio e suono pregustati sin dall’eternità e poi si addormentò.
L’Angelo volò via arrossendo. Si era infatti accorto di non aver capito l’essenziale della nascita del Figlio, che ora era uomo e totalmente uomo, e per il quale la sua lambiccata e preziosissima sinfonia non valeva una nota sola della sinfonia terrestre, tanto desiderata sin dall’inizio dei tempi.”
(Piero Gribaudi, Fiabe della Notte Santa)

venerdì 18 dicembre 2009

:-))

Giornata delirante.
Coda in banca. Attesa...
Coda in posta. Attesa...
Coda in un'altra banca. Attesa...
Non funziona la stampante. Attesa...
Coda di nuovo in posta. Attesa...
Un po' di nervosismo.
Ma poi...

Esco dalla posta.
Sono sotto gli alberi e non mi accorgo di nulla.
Passa una macchina.
Alla luce dei suoi fari mi sembra di vedere come dei coriandoli brillare.
Chissà cos'era...
Due passi.
Cielo aperto.
Qualcosa mi sfiora il viso.
Ecco cos'era...
N E V I C A !!
Come una bambina torno a casa felice...




mercoledì 16 dicembre 2009

Speranza



“La speranza è una cosa buona, forse la migliore delle cose; e le cose buone non muoiono mai.”
(dal film Le ali della libertà)

martedì 15 dicembre 2009

Listening is the key



“To convince anyone of anything, you have to start from where they are.
This is why listening is the key to influence.”

(????)

lunedì 14 dicembre 2009

Ascoltami

“Ascoltami, per favore, ho bisogno di parlarti;
concedimi solamente qualche istante.
Accetta quello che vivo, quello che sento,
senza reticenza, senza giudicare.

Ascoltami, per favore, ho bisogno di parlare;
non bombardarmi di domande, consigli, idee.
Non sentirti obbligato a risolvere le mie difficoltà.
Mancheresti tu di fiducia nelle mie capacità?

Ascoltami, per favore, ho bisogno di parlare;
Non cercare di distrarmi o di prendermi in giro,
Penserei che tu non comprenda l’importanza
di quello che c’è dentro di me.

Ascoltami, per favore, ho bisogno di parlare;
non sentirti obbligato ad approvare:
se ho bisogno di raccontarmi
è semplicemente per sfogarmi.

Ascoltami, per favore, ho bisogno di parlare;
Non interpretare e non cercare di analizzare.
Mi sentirò incompreso e manipolato
E non potrò più comunicare con te.

Ascoltami, per favore, ho bisogno di parlare;
non interrompere per fare domande.
Non cercare di forzare il mio IO nascosto,
Io so fin dove posso arrivare.

Ascoltami, per favore, ho bisogno di parlare;
Rispetta i silenzi che mi fanno camminare.
Guardati bene dal frantumarli:
è da essi assai spesso che sono illuminato.

Allora adesso che mi hai ascoltato per bene
ti prego puoi parlare.
Con attenzione e disponibilità
a mia volta, io ti ascolterò.”
(Anonimo)

domenica 13 dicembre 2009

Verso il Natale



“[...] Il nulla prese forma perché passò tra le mani dell'Amore. Fu un progetto d'amore a trasformare il nulla in creato. Senza amore non c'è alcuna potenza, e Dio è onnipotente perché è onniamante. [...] Ora, questo progetto prevede una gradualità di bene e di bellezza, culminante in quell'essere che porta in sé l'immagine e la somiglianza del Creatore. Il nulla prese forma dall'Amore e culminò nell'essere umano, creato libero e capace di amare. [...]
Maria [...] porta a compimento quello stesso progetto che Dio aveva iniziato dal nulla. Maria dà nuovamente una forma umana all'amore che sta all'origine di tutto. Le dà una forma che ci assomiglia. [...] La vita di Maria è un esempio di servizio, e "servire" è un modo umilissimo di tradurre nel concreto la parola "amare", che altrimenti resta sospesa nell'aura dei propositi e dei sogni.
Il Natale di Gesù ci invita a trasformare il dono immenso della sua presenza in un compito di servizio.”

(don Agostino Clerici, Verso il Natale)

venerdì 11 dicembre 2009

10 years!!

“Non ci si ama perché si è sempre innamorati, ma ci si innamora sempre perché ci si ama.”
(????)

mercoledì 9 dicembre 2009

martedì 8 dicembre 2009

Attendere

“La vera tristezza non è quando, la sera, non sei atteso da nessuno al tuo rientro in casa, ma quando tu non attendi più nulla dalla vita.
E la solitudine più nera la soffri non quando trovi il focolare spento, ma quando non lo vuoi accendere più: neppure per un eventuale ospite di passaggio.
Quando pensi, insomma, che per te la musica è finita. E ormai i giochi siano fatti. E nessun'anima viva verrà a bussare alla tua porta. E non ci saranno più né soprassalti di gioia per una buona notizia, né trasalimenti di stupore per una improvvisata. E neppure fremiti di dolore per una tragedia umana: tanto non ti resta più nessuno per il quale tu debba temere.
La vita allora scorre piatta verso un epilogo che non arriva mai, come un nastro magnetico che ha finito troppo presto una canzone, e si srotola interminabile, senza dire più nulla, verso il suo ultimo stacco.
Attendere: ovvero sperimentare il gusto di vivere. Hanno detto addirittura che la santità di una persona si commisura dallo spessore delle sue attese. Forse è vero.
Se è così, bisogna concludere che Maria è la più santa delle creature proprio perché tutta la sua vita appare cadenzata dai ritmi gaudiosi di chi aspetta qualcuno.
Già il contrassegno iniziale con cui il pennello di Luca la identifica è carico di attese: «Promessa sposa di un uomo della casa di Davide».
Fidanzata, cioè.
A nessuno sfugge a quale messe di speranze e di batticuori faccia allusione quella parola che ogni donna sperimenta come preludio di misteriose tenerezze. Prima ancora che nel Vangelo venga pronunciato il suo nome, di Maria si dice che era fidanzata. Vergine in attesa. In attesa di Giuseppe. In ascolto del frusciare dei suoi sandali, sul far della sera, quando, profumato di legni e di vernici, egli sarebbe venuto a parlarle dei suoi sogni.
Ma anche nell'ultimo fotogramma con cui Maria si congeda dalle Scritture essa viene colta dall'obiettivo nell' atteggiamento dell'attesa.
Lì, nel cenacolo, al piano superiore, in compagnia dei discepoli, in attesa dello Spirito. In ascolto del frusciare della sua ala, sul fare del giorno, quando, profumato di unzioni e di santità, egli sarebbe disceso sulla Chiesa per additarle la sua missione di salvezza.
Vergine in attesa, all'inizio.
Madre in attesa, alla fine.
E nell'arcata sorretta da queste due trepidazioni, una così umana e l'altra così divina, cento altre attese struggenti.
L'attesa di lui, per nove lunghissimi mesi. L'attesa di adempimenti legali festeggiati con frustoli di povertà e gaudi di parentele. L'attesa del giorno, l'unico che lei avrebbe voluto di volta in volta rimandare, in cui suo figlio sarebbe uscito di casa senza farvi ritorno mai più. L'attesa dell'ora: l'unica per la quale non avrebbe saputo frenare l'impazienza e di cui, prima del tempo, avrebbe fatto traboccare il carico di grazia sulla mensa degli uomini. L'attesa dell'ultimo rantolo dell'unigenito inchiodato sul legno. L'attesa del terzo giorno, vissuta in veglia solitaria, davanti alla roccia.
Attendere: infinito del verbo amare. Anzi, nel vocabolario di Maria, amare all'infinito.”

(don Tonino Bello, Maria, donna dell’attesa)

lunedì 7 dicembre 2009

Una goccia nell'oceano



“Se la nota dicesse: “non è una nota che fa la musica...”
non ci sarebbero le sinfonie!
Se la parola dicesse: “non è una parola che può fare una pagina...”
non ci sarebbero i libri!
Se la pietra dicesse: “non è una pietra che può alzare un muro...”
non ci sarebbero le case!
Se la goccia d'acqua dicesse: “non è una goccia d'acqua che può fare un fiume...”
non ci sarebbe l'oceano!
Se il chicco di grano dicesse: “non è un chicco di grano che può seminare un campo...”
non ci sarebbe la messe!
Se l'uomo dicesse: “non è un gesto d'amore che può salvare l'umanità...”
non ci sarebbero mai né giustizia né pace, né dignità né felicità sulla terra degli uomini.

Come la sinfonia ha bisogno di ogni nota,
come il libro ha bisogno di ogni parola,
come la casa ha bisogno di ogni pietra,
come l'oceano ha bisogno di ogni goccia d'acqua,
come la messe ha bisogno di ogni chicco di grano,
l'umanità intera ha bisogno di te,
là dove sei, unico, e perciò insostituibile!”
(Michel Quoist)

“Quello che noi facciamo è solo una goccia nell'oceano, ma se non lo facessimo l'oceano avrebbe una goccia in meno.”

(Madre Teresa di Calcutta)

domenica 6 dicembre 2009

Il pozzo del filosofo


“Il filosofo camminava a passi stretti, quasi le sue caviglie non osassero distaccarsi più di tanto l’una dall’altra. I tempi in cui, ragazzino, correva a rotta di collo giù per i pendii scavalcando siepi e fossati ad ampie falcate, non erano neppure più un ricordo. Li aveva annientati nella memoria come ogni altra realtà adolescenziale.
La natura - così traboccante di fascino, seduzione ed illusioni - egli l’aveva sterilizzata nella mente per servirsene come alimento per il suo pensiero, cui era avviticchiato come un convolvolo. In tal modo anche il suo corpo si era irrigidito ed ogni suo gesto era divenuto avaro.
Così camminava il filosofo in quella Notte Santa, quando vide un gruppo di pastori che andavano festanti alla grotta e li seguì a distanza. La sua non era curiosità ma inerzia. Già sapeva, il filosofo, dove conduce ogni strada e dove porta ogni passo: al nulla. Ma appunto per questo, a qualunque cosa accadesse egli assisteva; assisteva con quel distacco che egli pensava fosse la sua forza e la conferma del suo pensiero. Tutto è illusione, quaggiù; tuffiamoci dunque in ogni illusione per riemergerne più adamantini nella constatazione del nulla, pensava.
Anche quella volta andò come previsto. C’era una grotta, un bimbo e degli adoratori attratti dall’illusione più crudele per il suo popolo: quella che fosse nato il Messia, il Salvatore. Il filosofo si trattenne per poco sulla scena, tale ne era per lui l’irrealtà e l’assurdo. Si rimise a girovagare nella notte, come era solito fare, per dare un po’ di sollievo ai suoi pensieri.
Guardava il cielo e le sue infinite pupille meditando sulla loro assoluta inutilità, quando un breve passo gli fu fatale. Cadde a testa in giù in un pozzo senza sponde e svenne.
Quando si riebbe, palpandosi la nuca indolenzita, guardò verso l’alto e vide un piccolo cerchio di cielo, quasi una pupilla che lo osservasse assorta. Ebbe allora, fulminea, la percezione della realtà: se dal buco in cui si trovava ora tutto il cielo, per lui, si riduceva a uno spazio così limitato, come poteva aver supposto, quando era in superficie, di vedere altro che uno spazio pur esso limitato?
A volte basta una zuccata per ricondurre sulla retta via.
Il filosofo chiese aiuto. Ma la sua voce era poco più di un esile filo, dal momento che ne aveva fatto un uso molto parco; né le sue braccia avevano più la forza di un tempo, quando si arrampicava sugli alberi per gustarsi qualche fico di frodo. Eppure tutto il suo corpo, ora, reclamava la vita, come un libro a lungo sigillato reclama di essere sfogliato. Adesso che sperimentava nella sua carne quel nulla cui aveva eretto un monumento nel suo spirito, gli pareva un nulla insulso e doloroso, una specie di insetto che in qualche modo lo avesse inglobato in sé. E la recente scoperta che quel nulla altro non era se non una fetta di verità, come il cerchio di stelle sopra di lui non era che una fetta di cielo, e il cielo una fetta di infiniti altri misteri, non consolava più di tanto la sua disperazione. Chi l’avrebbe mai udito e tratto in salvo?
Per fortuna i pozzi non servono solo ai filosofi per rinsavire, ma anche ai comuni mortali per attingere acqua. E così, quando gli cadde in testa il secchio che Giuseppe aveva gettato con foga perché si riempisse celermente, il filosofo cacciò un grido che venne finalmente udito.
E i pastori, nel sentire prima e nel vedere poi qualcuno che scendeva dalle colline a rotta di collo verso la grotta facendo grandi balzi, pensarono: «Questi ragazzi... Quando rinsaviranno mai?».”


(Piero Gribaudi, Fiabe della Notte Santa)

sabato 5 dicembre 2009

Gioia nel cuore


Un piccolo viaggio.
Cena tra amici.
Quattro chiacchiere.
Stelle nel cielo.
Montagne innevate.
Piccole grandi gioie.
E il cuore si riempie...


venerdì 4 dicembre 2009

Ascoltare è amare

“Sono arrivata a pensare che ascoltare è amare”

(Brenda Ueland)

mercoledì 2 dicembre 2009

Le cose più piccole

“Apriamo gli occhi. Sbadigliamo. Ci alziamo. Bagno e doccia. Facciamo colazione. Ci vestiamo. Ci pettiniamo. Ci trucchiamo. Usciamo o restiamo in casa. Giochiamo. Studiamo. Lavoriamo. Scriviamo romanzi. Parliamo. Litighiamo. Mangiamo. Dormiamo. Leggiamo. Urliamo. Ridiamo. Piangiamo. Impariamo a vivere ed insegniamo a farlo. Impariamo ad amare ricominciando sempre da capo. Scriviamo lettere che non spediremo mai. Ascoltiamo gli altri. Ascoltiamo noi stessi.
Ci ricordiamo degli amici e ci dimentichiamo di noi o viceversa.
Ci guardiamo allo specchio eppure disegniamo spesso un’altra immagine di noi.Passiamo le giornate e non ci accorgiamo, che in ogni piccolo invisibile gesto, diamo più di quanto pensiamo, ed è quel gesto che dà forma alla nostra vera immagine, anche se lo specchio di tutti i giorni ce ne rimanda incessantemente un’altra.

Ogni frammento della nostra vita è una storia da raccontare, che sia un verso o un romanzo epico.
Nessuna bellezza è data dall’altezza.
Nessuna bellezza è data solo da uno specchio.
Nessuna bellezza è data solo da noi stessi.

“Si dà soprattutto quando non ci si accorge di dare…”. E spesso sono le cose più piccole.

La bellezza di quello che siamo è data dall’immagine che dipingiamo giorno dopo giorno sulla tela della vita.
E sono i piccoli momenti in un'intera giornata, una singola parola detta o scritta, i piccoli sguardi, i piccoli gesti…che danno vita all’intero quadro.
Perché…pensiamoci un attimo…se cade una statua di cristallo, essa si frantuma in mille pezzi. Ma se cade il più piccolo frammento di quella statua, esso non si frantuma, ma rimane intero.”

martedì 1 dicembre 2009

Insieme



Professore e alunni.
Il mare.
Una barca.
Un timone.
n remi.
Il timone da solo non basta:
il professore lo manovra,
ma voi ragazzi dovete remare
altrimenti dove si va?
Non ci si muove...
I remi da soli non bastano:
i ragazzi remano,
ma tu professore devi essere guida
altrimenti dove si va?
Chissà dove si può finire...
C'è un tempo per remare
e c'è un tempo per tirare i remi in barca,
godersi nel riposo due chiacchiere al tramonto.
Costa fatica remare,
ma per muoversi è necessario;
soprattutto nelle difficoltà
è importante non mollare
per vincere la tempesta.
Il professore è con voi,
vi guida, vi sostiene e vi incoraggia;
vi incita se serve.
In porto
o ci si arriva insieme o non ci si arriva.