“I
latini per 'curare' usavano la parola colere da
cui cultum,
da cui il termine 'cultura' (l'agricoltura non era altro che il
prendersi cura del campo). La cultura non ha nulla a che fare con il
consumare oggetti culturali: ci si illude che consumando più libri,
più musica, più quadri, si acquisirà più cultura. Conosco persone
che consumano tantissimi oggetti culturali, però questo non le rende
più umane, anzi spesso finiscono con il sentirsi superiori agli
altri. Cultura vuol dire stare nel campo, farlo fiorire, a costo di
sudore. Significa conoscere la consistenza dei semi, i solchi della
terra, i tempi e le stagioni dell'umano e occuparsene perché tutto
dia frutto a tempo opportuno. Nella cultura ci sono il realismo del
passato e del futuro e la lentezza del presente, cosa che il consumo
non conosce: esso vuole rapidità e immediatezza, non contempla la
passione e la pazienza.”
(Alessandro
D'Avenia, L'arte di essere fragili)
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