lunedì 15 febbraio 2010

“Per una verità che non sapevo tradurre in parole”

“Dipingevo, studiavo e meditavo sui miei genitori. Le parole di Jacob Kahn mi ossessionavano: «E’ l’unico modo per giustificare ciò che stai facendo alla vita di tutti». Non capivo cosa intendesse. Mi pareva di non aver niente da giustificare. Non avevo fatto del male a nessuno intenzionalmente. Perché dovevo giustificarmi? Non volevo dipingere per giustificare qualcosa; volevo dipingere perché volevo dipingere. Volevo dipingere allo stesso modo che mio padre voleva lavorare per il Rebbe. Mio padre lavorava per la Torah. Io lavoravo per... per cosa? Come potevo spiegarlo? Per la bellezza? No. Molti quadri che dipingevo non erano belli. Per che cosa, allora? Per una verità che non sapevo tradurre in parole. Per una verità a cui potevo dare vita solo mediante il colore, la linea, la struttura e la forma.”

(Chaim Potok, Il mio nome è Asher Lev)

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