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mercoledì 31 agosto 2011

Desiderio e verità

“Il desiderio e le passioni contengono verità profonde su chi noi siamo e sui nostri bisogni. Soffocarli non farebbe altro che ucciderci spiritualmente, oppure, un giorno o l’altro, farci perdere la testa. Dobbiamo educare i nostri desideri, aprire gli occhi su quello che è il loro oggetto reale, liberarli dai piaceri meschini. Dobbiamo desiderare più in profondità e con maggior limpidezza.”

(Timothy Radcliffe)

giovedì 16 giugno 2011

Verità e libertà

“Ricordate che ‘la verità vi farà liberi’ e non ‘la libertà vi farà veri’.”

(????)


sabato 24 luglio 2010

Luna


“Luna tu,
quanti sono i canti che risuonano,
desideri che attraverso i secoli
han solcato il cielo per raggiungerti,
porto per poeti che non scrivono
e che il loro senno spesso perdono.
Tu accogli i sospiri di chi spasima
e regali un sogno ad ogni anima.
Luna che mi guardi adesso ascoltami.

[...]

Luna tu,
che conosci il tempo dell'eternità
e il sentiero stretto della verità,
fà più luce dentro questo cuore mio,
questo cuore d'uomo che non sa,
non sa..

che l'amore
può nascondere il dolore,
come un fuoco
ti può bruciare l'anima.

Luna tu,
tu rischiari il cielo e la sua immensità
e ci mostri solo la metà che vuoi
come poi facciamo quasi sempre noi,
angeli di creta che non volano,
anime di carta che si incendiano,
cuori come foglie che poi cadono,
sogni fatti d'aria che svaniscono,
figli della terra e figli tuoi,
che sai..

che l'amore
può nascondere il dolore,
come un fuoco
ti può bruciare l'anima.

Ma è con l'amore
che respira il nostro cuore,
è la forza
che tutto muove e illumina.

[...]”

(Alessandro Safina, Luna)

venerdì 23 luglio 2010

Motivazioni: carenza o crescita?

“Dal suo punto di vista Maslow ha individuato due tipi di motivi: quelli da deficienza o carenziali e quelli di crescita. In corrispondenza a essi, anche la vita psichica dell’individuo può essere motivata o dal sistema «carenza-bisogno-gratificazione», oppure dal sistema «crescita-meta motivata». Si può, quindi, avere prevalenza dei motivi carenziali oppure di quelli accrescitivi in diversi comportamenti dell’individuo. [...]
Rispetto alla relazione con l’ambiente, il soggetto guidato dai bisogni carenziali dipende ansiosamente da altre persone, ha paura di essere abbandonato e può diventare aggressivo; se stimolato da motivi di crescita si sente più libero, meno dipendente dall’ambiente e dagli altri, meno ansioso e bisognoso di lode e di prestigio. In particolare, nelle sue relazioni interpersonali egli può strumentalizzare le persone per ottenerne sicurezza, ammirazione e affetto, oppure può percepire e amare gli altri disinteressatamente per ciò che sono e non per ciò che gli possono offrire.
Ancora, il soggetto guidato dal bisogno di sicurezza si difende da ogni minaccia, ha paura di crescere e di essere indipendente e libero, e pertanto tende alla regressione; chi, invece, è dominato dalla tensione verso la crescita accetta e sviluppa le sue capacità, ha fiducia in sé e negli altri. Infine, la prevalenza dei motivi carenziali fa sì che il soggetto abbia paura di conoscersi per non perdere la stima di sé, sentirsi inferiore, debole o cattivo, e pertanto si difende ricorrendo ai vari meccanismi consci o inconsci per non entrare in contatto con verità spiacevoli e dolorose; se prevalgono, invece, i motivi di crescita, il soggetto non teme la verità su sé stesso e sulla realtà, non rifiuta il rischio della conoscenza, anzi la cerca per crescere di più e perfino per superare positivamente l’ansietà.”
(Eugenio Fizzotti)

lunedì 28 giugno 2010

Alle donne..

“[...] un concreto e diretto grazie alle donne, a ciascuna donna, per ciò che essa rappresenta nella vita dell'umanità.

Grazie a te, donna-madre, che ti fai grembo dell'essere umano nella gioia e nel travaglio di un'esperienza unica, che ti rende sorriso di Dio per il bimbo che viene alla luce, ti fa guida dei suoi primi passi, sostegno della sua crescita, punto di riferimento nel successivo cammino della vita.

Grazie a te, donna-sposa, che unisci irrevocabilmente il tuo destino a quello di un uomo, in un rapporto di reciproco dono, a servizio della comunione e della vita.

Grazie a te, donna-figlia e donna-sorella, che porti nel nucleo familiare e poi nel complesso della vita sociale le ricchezze della tua sensibilità, della tua intuizione, della tua generosità e della tua costanza.

Grazie a te, donna-lavoratrice, impegnata in tutti gli ambiti della vita sociale, economica, culturale, artistica, politica, per l'indispensabile contributo che dai all'elaborazione di una cultura capace di coniugare ragione e sentimento, ad una concezione della vita sempre aperta al senso del «mistero», alla edificazione di strutture economiche e politiche più ricche di umanità.

Grazie a te, donna-consacrata, che sull'esempio della più grande delle donne, la Madre di Cristo, Verbo incarnato, ti apri con docilità e fedeltà all'amore di Dio, aiutando la Chiesa e l'intera umanità a vivere nei confronti di Dio una risposta «sponsale», che esprime meravigliosamente la comunione che Egli vuole stabilire con la sua creatura.

Grazie a te, donna, per il fatto stesso che sei donna! Con la percezione che è propria della tua femminilità tu arricchisci la comprensione del mondo e contribuisci alla piena verità dei rapporti umani.”

(Giovanni Paolo II, Lettera alle donne)

lunedì 15 febbraio 2010

“Per una verità che non sapevo tradurre in parole”

“Dipingevo, studiavo e meditavo sui miei genitori. Le parole di Jacob Kahn mi ossessionavano: «E’ l’unico modo per giustificare ciò che stai facendo alla vita di tutti». Non capivo cosa intendesse. Mi pareva di non aver niente da giustificare. Non avevo fatto del male a nessuno intenzionalmente. Perché dovevo giustificarmi? Non volevo dipingere per giustificare qualcosa; volevo dipingere perché volevo dipingere. Volevo dipingere allo stesso modo che mio padre voleva lavorare per il Rebbe. Mio padre lavorava per la Torah. Io lavoravo per... per cosa? Come potevo spiegarlo? Per la bellezza? No. Molti quadri che dipingevo non erano belli. Per che cosa, allora? Per una verità che non sapevo tradurre in parole. Per una verità a cui potevo dare vita solo mediante il colore, la linea, la struttura e la forma.”

(Chaim Potok, Il mio nome è Asher Lev)

domenica 6 dicembre 2009

Il pozzo del filosofo


“Il filosofo camminava a passi stretti, quasi le sue caviglie non osassero distaccarsi più di tanto l’una dall’altra. I tempi in cui, ragazzino, correva a rotta di collo giù per i pendii scavalcando siepi e fossati ad ampie falcate, non erano neppure più un ricordo. Li aveva annientati nella memoria come ogni altra realtà adolescenziale.
La natura - così traboccante di fascino, seduzione ed illusioni - egli l’aveva sterilizzata nella mente per servirsene come alimento per il suo pensiero, cui era avviticchiato come un convolvolo. In tal modo anche il suo corpo si era irrigidito ed ogni suo gesto era divenuto avaro.
Così camminava il filosofo in quella Notte Santa, quando vide un gruppo di pastori che andavano festanti alla grotta e li seguì a distanza. La sua non era curiosità ma inerzia. Già sapeva, il filosofo, dove conduce ogni strada e dove porta ogni passo: al nulla. Ma appunto per questo, a qualunque cosa accadesse egli assisteva; assisteva con quel distacco che egli pensava fosse la sua forza e la conferma del suo pensiero. Tutto è illusione, quaggiù; tuffiamoci dunque in ogni illusione per riemergerne più adamantini nella constatazione del nulla, pensava.
Anche quella volta andò come previsto. C’era una grotta, un bimbo e degli adoratori attratti dall’illusione più crudele per il suo popolo: quella che fosse nato il Messia, il Salvatore. Il filosofo si trattenne per poco sulla scena, tale ne era per lui l’irrealtà e l’assurdo. Si rimise a girovagare nella notte, come era solito fare, per dare un po’ di sollievo ai suoi pensieri.
Guardava il cielo e le sue infinite pupille meditando sulla loro assoluta inutilità, quando un breve passo gli fu fatale. Cadde a testa in giù in un pozzo senza sponde e svenne.
Quando si riebbe, palpandosi la nuca indolenzita, guardò verso l’alto e vide un piccolo cerchio di cielo, quasi una pupilla che lo osservasse assorta. Ebbe allora, fulminea, la percezione della realtà: se dal buco in cui si trovava ora tutto il cielo, per lui, si riduceva a uno spazio così limitato, come poteva aver supposto, quando era in superficie, di vedere altro che uno spazio pur esso limitato?
A volte basta una zuccata per ricondurre sulla retta via.
Il filosofo chiese aiuto. Ma la sua voce era poco più di un esile filo, dal momento che ne aveva fatto un uso molto parco; né le sue braccia avevano più la forza di un tempo, quando si arrampicava sugli alberi per gustarsi qualche fico di frodo. Eppure tutto il suo corpo, ora, reclamava la vita, come un libro a lungo sigillato reclama di essere sfogliato. Adesso che sperimentava nella sua carne quel nulla cui aveva eretto un monumento nel suo spirito, gli pareva un nulla insulso e doloroso, una specie di insetto che in qualche modo lo avesse inglobato in sé. E la recente scoperta che quel nulla altro non era se non una fetta di verità, come il cerchio di stelle sopra di lui non era che una fetta di cielo, e il cielo una fetta di infiniti altri misteri, non consolava più di tanto la sua disperazione. Chi l’avrebbe mai udito e tratto in salvo?
Per fortuna i pozzi non servono solo ai filosofi per rinsavire, ma anche ai comuni mortali per attingere acqua. E così, quando gli cadde in testa il secchio che Giuseppe aveva gettato con foga perché si riempisse celermente, il filosofo cacciò un grido che venne finalmente udito.
E i pastori, nel sentire prima e nel vedere poi qualcuno che scendeva dalle colline a rotta di collo verso la grotta facendo grandi balzi, pensarono: «Questi ragazzi... Quando rinsaviranno mai?».”


(Piero Gribaudi, Fiabe della Notte Santa)

sabato 31 ottobre 2009

Cercatore di verità

"A un giovane che si dichiarava cercatore della verità, il maestro disse: «Se ciò che cerchi è la verità devi avere una cosa innanzitutto».
«Immagino cosa sia: un desiderio grande di conoscerla». «No. Una disponibilità continua ad ammettere di avere torto»."

(Guerrino Ermacora)

"La vérité ne se possède pas, elle se cherche."
La verità non si possiede, la si cerca.
(Albert Jacquard)

lunedì 5 ottobre 2009

Verità

"A quanti cercano la verità, concedi la gioia di trovarla;
il desiderio di cercarla ancora, dopo averla trovata."

(dalle Intercessioni dei Vespri del lunedì della quarta settimana)