"Mi trascino in avanti, voglio vedere per la prima volta i dintorni del Lager - o meglio: vederli per la prima volta da uomo libero. Vado così nella natura, nella libertà. «Nella libertà», mormoro, rimuginando queste parole; ma non riesco semplicemente a capire. La parola libertà era troppo logorata dai nostalgici sogni di lunghi anni e il concetto troppo pallido; confrontato con la realtà, si dissolveva. La realtà non penetra ancora nell'intimo della coscienza: non la si può comprendere bene.
Arrivo in un prato. Qui vedo fiori sbocciati. Ne prendo atto, ma nulla giunge «al sentimento». La prima piccola scintilla di gioia scocca quando noto un gallo; le penne della sua coda hanno colori meravigliosi. Ma è solo una scintilla di gioia; non partecipo ancora del mondo. Siedo all'ombra di un castagno, su una panchina; Dio sa qual è l'espressione del mio volto. In ogni caso, il mondo non provoca ancora nessuna impressione.
La sera, quando i camerati affluiscono di nuovo alla vecchia capanna di terra, si ritrovano, s'interrogano a vicenda, furtivamente: «Tu, dì un po' - sei stato felice oggi?». E si confessano - pieni di vergogna, perché non sanno ancora che a tutti è andata così - «Onestamente: no!». Avevamo letteralmente dimenticato la gioia e dovevamo prima riimpararla.
[...]
Passano giorni, molti giorni, finché si scioglie non solo la lingua, ma qualcosa all'interno. Allora avvertiamo che una breccia si è aperta nella barriera, quello strano ostacolo dal quale tutti eravamo fino allora impediti. Poi, un giorno, qualche tempo dopo la liberazione, cammini in aperta campagna, per chilometri e chilometri, attraverso prati fioriti, fino alla borgata nelle vicinanze del Lager. Allodole s'alzano in volo, si librano in alto; senti risuonare il loro canto e la loro gioia, là in alto, nello spazio infinito. Non c'è nessuno, lì vicino, intorno a te, vi sono vasti campi e il cielo e il canto delle allodole e l'infinito. Allora non prosegui più in questo infinito, ti fermi, ti guardi intorno e volgi gli occhi verso l'alto e cadi in ginocchio. In quest'attimo non sai molto di te, né del mondo; senti in te una frase sola, e sempre quella, ripetuta: «Dal profondo chiamai il Signore ed Egli mi rispose dai liberi spazi» (Sl 118,5). - Quanto tempo sei rimasto là, in ginocchio, quanto spesso hai ripetuto questa frase - il ricordo non può dirlo... Ma in questo giorno, in quest'ora, è cominciata la tua nuova vita, e tu lo sai. Passo dopo passo, non altrimenti, penetri in questa nuova vita, ridiventi uomo."
(Viktor E. Frankl, Uno psicologo nei lager)