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mercoledì 2 aprile 2014

Questo è il matrimonio!


“[...] Chi si sposa nel Sacramento dice: «Prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita». Gli sposi in quel momento non sanno cosa accadrà, non sanno quali gioie e quali dolori li attendono. Partono, come Abramo, si mettono in cammino insieme. E questo è il matrimonio! Partire e camminare insieme, mano nella mano, affidandosi alla grande mano del Signore. Mano nella mano, sempre e per tutta la vita! E non fare caso a questa cultura del provvisorio, che ci taglia la vita a pezzi!

Con questa fiducia nella fedeltà di Dio si affronta tutto, senza paura, con responsabilità. Gli sposi cristiani non sono ingenui, conoscono i problemi e i pericoli della vita. Ma non hanno paura di assumersi la loro responsabilità, davanti a Dio e alla società. Senza scappare, senza isolarsi, senza rinunciare alla missione di formare una famiglia e di mettere al mondo dei figli. - Ma oggi, Padre, è difficile… -. Certo, è difficile. Per questo ci vuole la grazia, la grazia che ci dà il Sacramento! I Sacramenti non servono a decorare la vita - ma che bel matrimonio, che bella cerimonia, che bella festa!… - Ma quello non è il Sacramento, quella non è la grazia del Sacramento. Quella è una decorazione! E la grazia non è per decorare la vita, è per farci forti nella vita, per farci coraggiosi, per poter andare avanti! Senza isolarsi, sempre insieme. I cristiani si sposano nel Sacramento perché sono consapevoli di averne bisogno! Ne hanno bisogno per essere uniti tra loro e per compiere la missione di genitori. “Nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia”. Così dicono gli sposi nel Sacramento e nel loro Matrimonio pregano insieme e con la comunità. Perché? Perché si usa fare così? No! Lo fanno perché ne hanno bisogno, per il lungo viaggio che devono fare insieme: un lungo viaggio che non è a pezzi, dura tutta la vita! E hanno bisogno dell’aiuto di Gesù, per camminare insieme con fiducia, per accogliersi l’un l’altro ogni giorno, e perdonarsi ogni giorno! E questo è importante! Nelle famiglie sapersi perdonare, perché tutti noi abbiamo difetti, tutti! Talvolta facciamo cose che non sono buone e fanno male agli altri. Avere il coraggio di chiedere scusa, quando in famiglia sbagliamo…

Alcune settimane fa, in questa piazza, ho detto che per portare avanti una famiglia è necessario usare tre parole. Voglio ripeterlo. Tre parole: permesso, grazie, scusa. Tre parole chiave! Chiediamo permesso per non essere invadenti in famiglia. “Posso fare questo? Ti piace che faccia questo?”. Col linguaggio del chiedere permesso. Diciamo grazie, grazie per l’amore! Ma dimmi, quante volte al giorno tu dici grazie a tua moglie, e tu a tuo marito? Quanti giorni passano senza dire questa parola, grazie! E l’ultima: scusa. Tutti sbagliamo e alle volte qualcuno si offende nella famiglia e nel matrimonio, e alcune volte - io dico - volano i piatti, si dicono parole forti, ma sentite questo consiglio: non finire la giornata senza fare la pace. La pace si rifà ogni giorno in famiglia! “Scusatemi”, ecco, e si rincomincia di nuovo. Permesso, grazie, scusa! Lo diciamo insieme? (rispondono: “Sì!”) Permesso, grazie e scusa! Facciamo queste tre parole in famiglia! Perdonarsi ogni giorno!

Nella vita la famiglia sperimenta tanti momenti belli: il riposo, il pranzo insieme, l’uscita nel parco o in campagna, la visita ai nonni, la visita a una persona malata… Ma se manca l’amore manca la gioia, manca la festa, e l’amore ce lo dona sempre Gesù: Lui è la fonte inesauribile. Lì Lui, nel Sacramento, ci dà la sua Parola e ci dà il Pane della vita, perché la nostra gioia sia piena. [...]”

(Papa Francesco, Discorso alle famiglie in pellegrinaggio a Roma nell’Anno della Fede, Piazza San Pietro Sabato 26 ottobre 2013)

venerdì 21 gennaio 2011

I Suoi primi passi...

“La cosa più strabiliante non è che l’uomo sia arrivato a camminare sulla Luna, ma che Dio sia sceso a camminare sulla Terra.”
(Neil Armstrong)

“Caro, piccolo Gesù! Ormai ti reggi sulle gambine e tenti di muovere i primi passi. Ogni tanto la Madonna lascia anche a me il privilegio di tenerti per le manine e coccolarti. Ti reggi in piedi traballando e mandando grida di gioia come tutti i bambini che realizzano le loro prime conquiste. Quando, improvvisamente, mi rendo conto di ciò che sto facendo, mi prende un misto di stupore e di paura, che mi lascia come interdetto: il Bambino che tengo per mano è il Creatore del mondo. Io sto aiutando nei suoi primi passi incerti e maldestri Colui che ha fatto i cieli e la terra. Tutta la sapienza e la potenza di Dio è qui nelle mie mani, si lascia reggere e condurre da una povera creatura, debole e impotente, che ha bisogno, essa stessa, di tutto perché da sola non potrebbe nulla, né muoversi, né agire, né pensare; da sola nemmeno esisterebbe. Il Creatore in mano a una creatura! “Colui che è” in mano a “colui che non è”! Gesù mio, com’è possibile? E’ un pensiero che mi emoziona e insieme mi spaventa. Chi poteva immaginare una cosa simile? A tanto è arrivata la “condiscendenza” di Dio verso gli uomini! Il tuo amore per me, Gesù!”

(Ferdinando Rancan, In quella casa c’ero anch’io)

giovedì 22 luglio 2010

22 Luglio - S.Maria Maddalena


“Maria stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto». Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!» - che significa: «Maestro!».”
(Gv 20, 11-16)

martedì 11 maggio 2010

Sei Tu davvero?



“SINDONE
Nel silenzio ti senti chiedere:

«Voi chi dite che io sia?»

Fuori è una giornata di primavera radiosa: un sole chiaro illumina in trasparenza le foglie degli alberi appena nate, color verde acerbo. Dentro il Duomo, è buio. Una penombra fitta accoglie il visitatore ancora frastornato dal primo caldo, e dal vociare della folla in piazza. Una penombra raccolta come un ventre materno, un altro mondo – silenzioso, tanto quanto fuori è rumore.

La sola luce è in fondo, al centro della navata. La sola luce è un grande rettangolo di colore oro pallido. La Sindone, eccola, a pochi metri da te. Dietro allo spesso cristallo a prova di ogni urto, di ogni fiamma, protetta come meglio la tecnologia degli uomini oggi può fare, come il più prezioso dei tesori. Ecco l’orma di quel corpo, e il volto, e le macchie più scure: il sangue. Zittisce per un momento la folla dei giornalisti e fotografi portati per primi in Duomo – zittisce come quando ci si trova davanti a qualcuno, e non a qualcosa. Poi, quasi subito, il mestiere riprende il sopravvento, gli operatori lottano per piazzare i cavalletti delle telecamere, i fotografi alzano sopra la testa le macchine e una raffica di flash illumina di bagliori le navate, come lampi in un temporale. C’è chi parla, chi registra e chi ricorda ai telespettatori che l’ingresso è gratis; chi telefona – soffocati squilli di cellulari dalle tasche. Quasi impossibile, per un migliaio di giornalisti, restare in silenzio per quel minuto chiesto dal cardinale Severino Poletto. Non siamo gente abituata al silenzio. Solo qualcuno di noi nella calca si isola, assorto, e a braccia conserte resta in contemplazione per lunghi minuti. Solo qualcuno, come adesso solo con sé stesso davanti all’ombra di quel corpo, di quel volto.

È un’ombra pallida, il volto, sull’originale, meno netto che nelle immagini ad alta definizione che tutti conosciamo. Occorre sapere e ricordare i racconti evangelici, occorre averli in testa, per ricostruire fra sé quei versi che ci sentiamo ripetere fin da bambini. Bisogna lasciarsi riecheggiare nel cuore la Passione testimoniata da Matteo, o dagli altri evangelisti. Quando è il momento di Pilato. L’ora della sentenza. «...Dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso. Allora i soldati del governatore portarono Gesù nel pretorio e radunarono attorno a lui tutta la coorte. E, spogliatolo, gli misero addosso un manto scarlatto; intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero una canna nella mano destra e, inginocchiandosi davanti a lui, lo schernivano, dicendo: "Salve, re dei Giudei!" E gli sputavano addosso, prendevano la canna e gli percuotevano il capo».

Ecco su quel misterioso telo riemerso dal buio della storia nel quattordicesimo secolo in Francia, su quel telo che non può essere, per le sue caratteristiche fisiche, manufatto e su cui, come ha detto ieri il cardinale Poletto, «la scienza balbetta», i segni della Passione, come in uno specchio: ma in una inversione da negativo fotografico, dove l’ombra è chiara e la luce oscura, e a un primo sguardo superficiale la sagoma sembra evanescente, come appena tracciata da una emanazione di vapori. Occorre fermarsi, e far memoria del Venerdì Santo. Allora ecco prendono forma, sotto a uno sguardo attento, i segni di ciò che subì Gesù Cristo quel giorno. Ecco, sulla fronte, il sangue colato dalla corona di spine. E su una mano, evidente, il buco lasciato da un chiodo, e anche i piedi ugualmente trafitti. Sul lato del dorso ecco le impronte della flagellazione sulle spalle, e sulla nuca, pure, le tracce delle spine di una corona di rovi – a irridere un re martoriato e moribondo. Ecco, sul costato, la macchia larga, come di un colpo di lancia inflitto nel costato. Qui almeno la scienza dice qualcosa di preciso: quel sangue è di cadavere, l’uomo della Sindone era già morto quando fu provocata la ferita – mentre il sangue in corrispondenza dei chiodi e delle spine, è sangue di vivente. La corrispondenza coi Vangeli è assoluta («segno tragico e illuminante della Passione», disse Giovanni Paolo II della Sindone).

E mentre riconosci, e quasi tocchi con lo sguardo questa impressionante analogia, ti si fa dentro come un ulteriore silenzio – attonito, commosso. Sei tu, dunque, sei tu davvero? Come riconoscendo dopo l’eternità un volto tanto a lungo cercato. E poi, immobile ancora lì davanti, ti riecheggia in testa il Vangelo di Giovanni: «Il primo giorno della settimana, Maria di Magdala si recò al sepolcro al mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro». La grande pesante pietra che Giuseppe d’Arimatea aveva fatto porre davanti alla tomba – come se la storia fosse, con la morte di quell’uomo, finita. E invece, rotolata la pietra, scoperchiata la tomba: là dentro Pietro trovò soltanto i teli.

Il sudario. Questo, che andiamo a contemplare in forse due milioni, in processione, duemila anni dopo? Quando hai ritrovato tutte le corrispondenze e i segni su quel lenzuolo, lo puoi guardare infine nella sua completezza. È l’immagine di un uomo torturato e massacrato, di un uomo straziato dalla violenza, come milioni di uomini e donne e bambini nella storia. È, quel sudario, icona di noi («la carne di Cristo è carne nostra», disse san Leone Magno). Ma, non c’è traccia di corruzione e disfacimento sul quel corpo. Come se l’uomo della Sindone non fosse sceso nella morte, non ne fosse stato preso e catturato giù, nel suo abisso. Esci dal buio del Duomo al sole di aprile, e hai ancora quel volto davanti agli occhi. Come se ancora insistentemente chiedesse a chi lo va a contemplare: e voi, chi dite che io sia?”
(Marina Corradi)

domenica 9 maggio 2010

Il paradiso nel cuore

“E’ il Signore... O mio Dio... che gioia per un cristiano, che, alzandosi dalla mensa eucaristica, se ne va col paradiso nel cuore.”

(S. Giovanni Maria Vianney, il Santo Curato d’Ars)

domenica 4 aprile 2010

Gioia


“Morte e Vita si sono affrontate
in un prodigioso duello.
Il Signore della vita era morto;
ma ora, vivo, trionfa.

«Raccontaci, Maria:
che hai visto sulla via?».
«La tomba del Cristo vivente,
la gloria del Cristo risorto,
e gli angeli suoi testimoni,
il sudario e le sue vesti.
Cristo, mia speranza, è risorto;
e vi precede in Galilea».

Sì, ne siamo certi:
Cristo è davvero risorto.”

(dalla Sequenza Pasquale)

Augurissimi di BUONA PASQUA!!

sabato 3 aprile 2010

Silenzio

“[...] e lo seppellirò nel mio petto di roccia viva, da dove nessuno me lo potrà togliere, e lì, Signore, riposa!”
(S.Josemaría Escrivá)

venerdì 2 aprile 2010

"Ecce Homo"

Pilato era uscito fuori dal Pretorio e con un gesto della mano rivolto alla folla, fece avanzare Gesù gridando: ‘Ecco l’uomo!’. Infatti Gesù non c’era più, non era più lui. Quel rudere barcollante, che a mala pena si reggeva in piedi, era un cencio a brandelli. Una maschera di sangue e di dolore che i soldati hanno voluto arredare con le insegne della regalità! Quel casco di spine a mo’ di corona ficcato nella testa, quello straccio scarlatto sulle spalle scarnificate dai colpi, quella canna fessa infilata tra le mani legate ai polsi con una catena... tutto per incorniciare un volto tumefatto e livido, un povero corpo maciullato e straziato! [...] Mi fermai a guardarlo: di Gesù non restava più niente, se non la sua dignità maestosa e... i suoi occhi! Quello sguardo mi segue ancora. Erano occhi luminosi. Brillavano. Non per la febbre, non per le lacrime. Guardavano la folla senza rancore, senza desiderio di vendetta, senza atteggiamento di giudizio; guardavano come tante volte hanno guardato i malati, i lebbrosi, i poveri, i disgraziati. C’era in quello sguardo forza e severità, ma anche tanta tristezza, tanto dolore, tanta dolcezza! Erano occhi rivolti alla folla, ma guardavano uno a uno quei poveri sciagurati, entravano in ciascuno di loro come un raggio di luce in lotta con le tenebre più fitte.”

(Ferdinando Rancan, In quella casa c’ero anch’io)

lunedì 28 dicembre 2009

Un bambino che è Dio...



“Il Natale di Gesù è soffuso di ammirevole semplicità: il Signore viene senza risonanza, sconosciuto a tutti. Qui in terra, soltanto Maria e Giuseppe partecipano a questa avventura divina. Poi i pastori, ai quali gli angeli recano l’annunzio. E, più tardi, quei saggi dell’Oriente. E’ così che ha compimento l’evento trascendente che unisce il cielo alla terra, Dio all’uomo.
E’ mai possibile tanta insensibilità di cuore al punto di abituarsi a queste scene? Dio viene nell’umiltà perché ci sia possibile avvicinarlo, perché ci sia possibile corrispondere al suo amore con il nostro amore, perché la nostra libertà si arrenda non più soltanto alla manifestazione della sua potenza, ma anche allo splendore della sua umiltà.
Ineffabile grandezza di un bambino che è Dio! Suo Padre è il Dio che ha fatto i cieli e la terra, eppure Egli è lì, in una mangiatoia, quia non erat eis locus in diversorio, perché non c’era altro posto sulla terra per il Signore di tutto il creato.”
(Josemaría Escrivá, E’ Gesù che passa)

giovedì 24 dicembre 2009

Holy night



“Il cielo non appartiene alla geografia dello spazio, ma alla geografia del cuore. E il cuore di Dio, nella Notte santa, si è chinato giù fin nella stalla: l'umiltà di Dio è il cielo. E se andiamo incontro a questa umiltà, allora tocchiamo il cielo. Allora diventa nuova anche la terra. Con l'umiltà dei pastori mettiamoci in cammino, in questa Notte santa, verso il Bimbo nella stalla! Tocchiamo l'umiltà di Dio, il cuore di Dio! Allora la sua gioia toccherà noi e renderà più luminoso il mondo.”

(Benedetto XVI, Omelia nella Notte di Natale 2006)

BUON NATALE!!

lunedì 21 dicembre 2009

Quasi Natale...

“Caro Gesù ti scrivo / per chi non ti scrive mai, / per chi ha il cuore sordo / bruciato dalla vanità. / Per chi ti tradisce / con quei sogni che non portano a niente / per chi non capisce / questa gioia di sentirti sempre / amico e vicino.

Caro Gesù ti scrivo / per chi una casa non ce l'ha / per chi ha lasciato l'Africa lontana / e cerca un po' di solidarietà / per chi non sa riempire questa vita / con l'amore o i fiori del perdono, / per chi crede che sia finita, / per chi ha paura del mondo che c'è / e più non crede nell'uomo.

Gesù, ti prego, ancora! Vieni
a illuminare i nostri cuori soli,
a dare un senso a questi giorni duri,
a camminare insieme a noi.
Vieni
a colorare il cielo di ogni giorno,
a fare il vento più felice intorno,
ad aiutare chi non ce la fa.

Caro Gesù ti scrivo / perchè non ne posso più / di quelli che sanno tutto / e in questo tutto non ci sei Tu. / Perchè voglio che ci sia più amore / per quei fratelli che non hanno niente / e che la pace, come il grano al sole, / cresca e poi diventi pane d'oro / di tutta la gente.

Gesù ti prego ancora! Vieni
a illuminare i nostri cuori soli,
a dare un senso ai giorni vuoti e amari,
a camminare insieme a noi.
Vieni
a colorare il cielo di ogni giorno
a fare il vento più felice intorno
ad aiutare chi non ce la fa.
Signore vieni!”

(Caro Gesù ti scrivo, 40° Zecchino d’Oro)

domenica 20 dicembre 2009

Le due sinfonie



“E «appena gli Angeli si furono allontanati per tornare al cielo» (Lc 2,15), ne restò uno in terra con una missione speciale: quella di favorire il sonno del Bambino. Perché non si creda che il piccolo neonato fosse diverso dagli altri. La prima notte, poi...
La prima notte, dopo aver permesso a Maria e Giuseppe di addormentarsi, il piccolo Gesù si mise a frignare. Come dicono gli antichi cantari, «Maria lo cullò, Giuseppe gli parlò», e Lui si addormentò; ma, come gli antichi cantari non dicono, quasi subito si ridestò e riprese a piangere.
A questo punto l’Angelo entrò in azione: da un magico turibolo che si era portato appresso cavò una nube di suoni approntata da tempo con speciale cura. Era o non era il soprintendente generale dei cori angelici (Troni, Dominazioni e Potestà)? In quella piccola nube aveva distillato la quintessenza dei suoni soprannaturali, a noi ignoti ma - per quei pochi santi che hanno avuto il privilegio di udirli - di una bellezza ed armonia indicibili; ad essi aveva poi unito, con sapiente dosaggio, le misteriose melodie e i contrappunti delle sfere celesti in una serie di accordi soffici e solenni che, per non far torto a nessuno, aveva colto da tutte le galassie e tutti gli spazi siderali.
Fu quindi assai stupito quando il Bimbo, dolcemente avvolto da quel magico involucro, continuò a gnaulare come se nulla fosse.
L’Angelo aveva preparato un’arma di riserva, ma non pensava di doverla utilizzare: un’altra nube, molto più eterea, formata da altissimi pensieri, cognizioni eccelse, concetti trascendenti, un tipo di musica, insomma, a noi del tutto sconosciuta e che per la verità neppure lui conosceva troppo bene dato che, essendo un Angelo cantore, non era del tutto esperto in mistica metafisica. Ma nemmeno quest’onda divina ebbe un qualche effetto.
L’Angelo, a questo punto, ebbe il dubbio che qualcuno - forse il Demonio - avesse scambiato il Bimbo nella mangiatoia e che invece del Figlio di Dio vi giacesse un qualunque figlio d’uomo.
Ma ebbe a ricredersi quando, dal soffitto della grotta, cadde una goccia. Non per terra, ma in una scodella di rame che si trovava là per caso. «Dong!» fece la goccia, e il Bimbo tacque. Poi uno spiffero di vento iniziò a sufolare fra le assi sconnesse della porta e, benché all’Angelo quel suono paresse banale, al Bimbo piacque perché agitò le manine in segno di gioia. Allora la natura della notte, che aveva assistito allibita alle performances dell’Angelo, alimentò i mille suoni che ne abitano il silenzio: il fruscio delle foglie di un gelso, un lontanissimo gracidare di rane, i veloci mordenti di alcuni grilli, il basso continuo di un gufo immalinconito, il respiro di Maria e i sospiri di Giuseppe.
Il Bimbo taceva estasiato. Quelle onde sonore, che all’Angelo parevano così povere, lo facevano scendere nella vertigine di un sonno profondo e pacificato. Con le manine strette, gustò per un attimo ancora quei frammenti di silenzio e suono pregustati sin dall’eternità e poi si addormentò.
L’Angelo volò via arrossendo. Si era infatti accorto di non aver capito l’essenziale della nascita del Figlio, che ora era uomo e totalmente uomo, e per il quale la sua lambiccata e preziosissima sinfonia non valeva una nota sola della sinfonia terrestre, tanto desiderata sin dall’inizio dei tempi.”
(Piero Gribaudi, Fiabe della Notte Santa)

domenica 4 ottobre 2009

Che fiore(llino) sono?

"Ma Gesù mi ha istruita riguardo a questo mistero. Mi ha messo dinanzi agli occhi il libro della natura, ed ho capito che tutti i fiori della creazione sono belli, le rose magnifiche e i gigli bianchissimi non rubano il profumo alla viola, o la semplicità incantevole alla pratolina... Se tutti i fiori piccini volessero essere rose, la natura perderebbe la sua veste di primavera, i campi non sarebbero più smaltati di infiorescenze.
Così è nel mondo delle anime, che è il giardino di Gesù."

(Teresa di Lisieux, Storia di un'anima)